Tra le pratiche usate per la produzione di vini rossi di grande struttura o per i vini bianchi e rossi dolci, le pratiche della surmaturazione e dell’appassimento sono ampiamente diffuse.
Basta accennare al Recioto della Valpolicella o al suo alter ego Amarone per far meglio comprendere che tipologie di vini possono essere prodotti. Gli esempi non mancano anche nell’area di Bergamo, con il Moscato di Scanzo, oppure in provincia di Brescia dove questa pratica è usata per vini di elevata qualità da molte cantine.
La tecnica, ampiamente diffusa nel secolo scorso, consente di ottenere gradazioni zuccherine, e quindi alcoliche, più elevate e maggiore concentrazione dei composti dell’uva al fine di ottenere vini che si conservano con maggiore facilità.
Le produzione di massa, tipiche degli anni ‘70/’80, in associazione ad una tecnica e tecnologia enologica non ancora evoluta, limitavano, infatti, le gradazioni alcoliche e le strutture dei vini determinando un limitato orizzonte di conservazione.
La forte evoluzione delle tecnica viticola ed enologica, oltre alla variazione del clima, ha ridotto questa esigenza: oggi, infatti, in virtù dell’aumento del numero di ceppi per ettaro e della riduzione delle produzioni per pianta, ci si trova con sempre maggiore frequenza nella condizione opposta di uve con gradazioni zuccherine molto, forse troppo, elevate.
Come abbiamo già visto nel precedente articolo sulla “Maturazione delle uve” , l’epoca di raccolta è in funzione dell’obiettivo enologico. Come riferimento vengono utilizzate la maturazione tecnologica, fenolica o fisiologica; ma per completare il quadro è doveroso parlare anche di Surmaturazione e Appassimento.
Ma quali sono gli effetti fisiologici e tecnologici di queste tecniche?
Seppur basandosi sullo stesso principio, non bisogna far confusione tra le due metodologie essendo, sia dal punto di vista enologico che normativo, due tecniche ben distinte (Regolamento UE 1308/2013, allegato VII, parte 2, c. 15 e 16).
Si parla di surmaturazione quando le uve vengono lasciate a sovra-maturare sulla vite: quindi, invece, di effettuare la vendemmia alla maturazione fisiologica, si ritarda la raccolta di 10-30 giorni (a seconda della zona di produzione) facendo appunto la cosiddetta “vendemmia tardiva”. Questa tecnica può essere attuata anche mediante il taglio del tralcio: La potatura del capo a frutto blocca l’afflusso di liquidi evitando che in caso di pioggia il contenuto degli acini posso diluirsi per assorbimento di acqua.
L’appassimento è invece una tecnica che viene effettuata dopo la raccolta e si distingue in due varianti: naturale e forzata.
In quella naturale le uve vengono disposte su graticci di varia natura (cassette di legno, tappeti di canne, reti metalliche o pergolati) e lasciate appassire all’aria in modo naturale. A seconda del territorio di produzione i luoghi di appassimento possono variare: nel Sud ad esempio si sfrutta il sole lasciando le uve all’aperto, mentre nelle regioni del settentrione vengono distese in solai o sottotetti ben ventilati.
L’altra tecnica è quella dell’appassimento forzato o artificiale nella quale i grappoli vengono posti in opportune camere ad atmosfera controllata, così da poter regolare la temperatura, l’umidità e la ventilazione. in questo modo viene modificato il processo di perdita dell’acqua da parte degli acini e consente una perfetta regolazione della cinetica di disidratazione.
La maturazione avviene comunque, ma in maniera diversa rispetto alla surmaturazione, infatti durante l’appassimento il rapporto glucosio/fruttosio cala mentre il rapporto acido tartarico/acido malico aumenta così come anche i composti polifenolici e inoltre viene accelerata la decomposizioni degli antociani nella buccia, andando quindi a modificarne il colore.
I principali processi che si sviluppano sono i seguenti:
- Disidratazione degli acini con conseguente aumento della concentrazione degli zuccheri e delle altre sostanze;
- Riduzione dell’acido malico per respirazione cellulare
- Concentrazione dell’acido tartarico, poiché la pianta non ha enzimi capaci di degradarlo;
- All’interno del grappolo si attivano vari processi fisiologici, come ad esempio la produzione di glicerolo, in grado di limitare la perdita di acqua, che dal punto di vista gustativo è in grado di equilibrare il livello di acidità e conferire morbidezza.
- Infine la denaturazione dei componenti cellulari porta al rilascio di enzimi in grado di sintetizzare nuove molecole aromatiche.
Un’estremizzazione di queste metodologie di produzione consiste nell’uso di uve botritizzate, ovvero colpite da un fungo chiamato Botrytis cinerea, da cui appunto ne deriva il nome. In questo caso i grappoli vengono lasciati letteralmente “ammuffire” in ambienti controllati e una volta completato il processo, vengono pressate per la produzione del vino. Questa tecnica permette di ottenere dei vini con un’aumentata concentrazione di lattoni (sostanze organiche dall’aroma fruttato o speziato) così da avere aromaticità uniche nel suo genere.